Le vette della Majella Meridionale sul versante Ovest della Valle di Taranta

Monte Amaro - Monte Macellaro - Cima di Fondo di Majella - Cima di Fondo di Femmina Morta - Tavola Rotonda - Cima di Femmina Morta


2° giorno - 21 Settembre

… la notte è passata tranquilla anche se disturbata dalle raffiche violente del vento, la temperatura è scesa parecchio all’interno del bivacco ed è stato un problemino in più per chi non era propriamente attrezzato con un adeguato sacco a pelo… la mattina invece, avevamo avvisato la sera precedente, è stata precoce un po’ per tutti, inevitabile direi quando si condivide uno spazio così ristretto. Avevamo pianificato una partenza alle prime ore del giorno, e comunque volevamo anche cercare di portarci via le emozioni dell’alba da quel posto così privilegiato. Le condizioni meteo non erano gran che mutate rispetto alla sera precedente e alla notte, ma non curanti eravamo fuori dal bivacco alle prime luci del giorno. Il vento “rafficava” impetuoso, le nubi “da corsa” andavano e venivano e cambiavano le prospettive istante per istante. Purtroppo non era l’alba che ci aspettavamo, l’orizzonte era corto, il mare invisibile assolutamente, ed ogni tanto sparivano anche le montagne intorno tanto era mutevole e veloce il fronte nuvoloso. Devo dire che ciò che percepivamo era comunque uno spettacolo fuori dal comune, tipico della montagna, mutevole, capriccioso; momenti di buona visibilità si alternavano a momenti di buio, il sole appariva pallido e spariva continuamente. Via via che il giorno saliva la visibilità aumentava, le nubi diventavano più trasparenti, meno insistenti; il cielo alternava l’azzurro profondo al pallore nebbioso fornendo gli spunti più diversi per le tante foto che abbiamo fatto. Ero sicuro che nessuna delle tante foto fosse capace di restituire le intensità e la mutevolezza selvaggia delle immagini che ci passavano davanti, ma ci abbiamo provato, giudicate un po’ se ci siamo riusciti dalle poche che pubblicheremo. Entra ed esci dal bivacco per catturare luci diverse via via che il giorno saliva, colazione calda con tè e caffè che il mitico Giorgio aveva provveduto a produrre col suo fornelletto portato ad hoc, “capoccie” che spuntavano assonnate dai sacchi, per quanto si cercasse di fare tutto sottovoce e in punta di piedi era impossibile non svegliarli, nemmeno troppo lentamente la vita in questo spicchio di mondo ad alta quota riprendeva frenetica tra non pochi sbadigli. Una foto di gruppo davanti alla rossa cupola del Pelino per fermare nella memoria dei volti che probabilmente non si incontreranno mai più e riprendiamo il cammino per andarci a conquistare tutte le vette ad ovest della Valle di Taranta. Riprendiamo per la stessa direzione da dove siamo venuti, in un niente scendiamo l’agile spigolo dell’Amaro e siamo già sulla ampissima piatta ma lunga dorsale che ci porterà con pochi dislivelli al Macellaro. Il sentiero passa davanti alla grotta della Canosa, una cavità naturale protetta più che una vera grotta, aperta verso l’esterno, composta da vari ambienti anche protetti da muretti a secco, che potrebbe essere un buon rifugio in caso ci si trovi da queste parti in condizioni avverse. Se si andasse a sinistra, verso Est seguendo le linee naturali che scendono tra una rotondità e l’altra si ritornerebbe all’imbocco della Valle di Taranta, la tonda e allungata mole del Macellaro è invece davanti, un paio di salti che salgono lentamente e siamo sulla vastissima cresta accolti da un ometto, una lunga ed enorme dorsale, più un altipiano di ciottoli che tutto il resto a dire il vero; la vetta è il terzo ometto giù in fondo, un chilometro forse più dal primo, la raggiungiamo dopo aver superato un poco pronunciato fosso che scende verso il Fondo di Majella. Toccare l’ometto di vetta è d’obbligo, come le foto di rito e quelle per fissare la prospettiva da questa montagna. Prospettiva che cambia davvero poco in questo vastissimo deserto di quota. Il fosso appena superato ci serve per scendere il crinale e portarci in valle, dentro, inutile dirlo, anche il Fondo di Majella appare enorme, un vallone sterminato che scende dalle pendici dell’Amaro e che andrà a perdersi nei piani della Femmina Morta. Di duecento metri siamo appena scesi e duecento metri dobbiamo risalire di petto per toccare la Cima del Fondo di Majella; lenti, zigzagando sui fianchi della montagna la risaliamo fino al minuscolo omino di vetta, costruito a pochi centimetri dal bordo di cresta. Di fronte il lungo tondeggiante profilo del Macellaro, dietro il ripido versante fino a Passo San Leonardo, il Morrone, i paesini di Pacentro, Vado di Coccia, la città di Sulmona. La Cima del Fondo di Maiella alla fine è uno dei tanti speroni di tutta la cresta ovest della Majella, senza una peculiarità che non sia quella della centralità nel versante. Verso sud , sui denti affilati della Cima di Femmina Morta si vanno formando nuvole estemporanee che nascono dalle pendici della montagna e muoiono dopo aver varcato il filo di cresta; affascinante fenomeno dovuto probabilmente alle raffiche del vento che continuavano incessanti. Già, dopo due giorni e una notte di vento costante c’eravamo talmente abituati che nemmeno più ci infastidiva! Riprendiamo la lunga discesa sul filo di cresta verso Sud, per i pratoni, fino a scendere al valico di Femmina Morta, da cui, per lunghi traversi, tagliamo la cresta che sporge verso Ovest e raggiungiamo Cima di Femmina Morta. Le nuvole ancora salgono dalla valle, a tratti ci investono e subito dopo svaniscono, dobbiamo scappare dopo le foto di rito perché il vento ci sta sbatacchiando come in pochi altri posti in queste due giornate. In un momento di orizzonti spalancati intravediamo una vetta anonima, riconosco però i vecchi impianti da sci; capisco che abbiamo preso una bella cantonata nel posizionare le ultime due vette da raggiungere. Era la Tavola Rotonda, manca al CV di Augusto e va toccata, non è lontana, ma occorre scendere ancora di quota e scendere ancora verso Sud. Non abbiamo fatto una piega, senza sentiero e per linee logiche continuiamo a scendere verso Sud, una lunga discesa poi una valletta erbosa, la risaliamo e siamo su grosso ometto di vetta. Anche la Tavola Rotonda è nostra; salendo ci siamo accorti, verso Sud, di una profonda spaccatura nel piano erboso, una grossa crepa, decidiamo che valeva la pena andargli a fare una visita. Di certo è dietro la piccola crestina che verso Ovest abbiamo di fronte, scendiamo dalla Tavola Rotonda e risaliamo su questa; nel salire in cresta un piccolo avvallamento ci regala una fioritura gialla di chissà quali fiori e le più belle stelle appenniniche di questi due giorni. Già, la nota costante delle quote alte per questi due giorni sono state le stelle appenniniche, ormai al termine della loro vita, un po’ appassite, ma davvero tante e ovunque. Arriviamo nei pressi della spaccatura, di cui i miei mitici compagni conoscono il nome, la sfischia, ci accorgiamo di un vero fenomeno a cielo aperto. Si tratta in effetti di una vera faglia superficiale, una spaccature profonda, lunga una trentina di metri. Fauci spalancate nel bel mezzo dei prati. I detriti che si sono accumulati al suo interno permettono di scenderci dentro; non è mai larga più di un metro, un metro e poco più. Le pareti sono rocciose, possenti, e nel punto più profondo della forra alte forse una ventina di metri. Dentro è quasi buio. Valeva la pena deviare per conoscere questo infinitesimo pezzettino della grande montagna. Più in là il sentiero è tracciato, ormai conosciamo a intuito la posizione della nostra ultima vetta da conquistare, il sentiero e il n° 1, quello prinicipale che ricondurrebbe verso Nord all’Amaro. Lo seguiamo per un po’ per evitare alcune alture poi ben presto lo abbandoniamo per prendere verso Ovest. Telecomandati dall’aver ormai memorizzato i vari crinali e soprattutto guidati dalla lunga cresta del Macellaro raggiungiamo la Femmina Morta seguendo il percorso più ovvio anche se senza sentiero. In vetta c’è un modesto omino, in una pietra a terra un pennarello suggella la duecentesima vetta di Augusto. Una conquista intima, voluta, cercata con passione e costanza. Ieri Luca ha completato la sua rincorsa, oggi Augusto ha conquistato il traguardo intermedio più importante di questa pazza corsa ai 2000 dell’Appennino. Ci arriva teso, emozionato, silenzioso, lo conosco, so di lui, so dove ha i pensieri e sento come fosse il mio, il suo stato d’animo. Più di una conquista sportiva, più di un obiettivo personale. Bravo Augusto. Bravissimo. La consacrazione del momento con le solite foto, e già lo sguardo era volto ad Ovest dove gli inconfondibili contrafforti della Valle di Taranta segnavano la direzione. Dovevamo tagliare verso Nord, salendo un po’ di quota anche, verso il Macellaro , la carta parlava chiaro, se avessimo puntato direttamente il bordo della Valle di Taranta da dove saremmo dovuti scendere avremmo incrociato così tanti fossi da finire dispersi chissà su quale punto del versante Sud della grande montagna. Intercettiamo un sentiero oltre un pronunciato fosso, proprio dove va a finire la dorsale del Macellaro, taglia decisamente il versante verso Ovest; scollinata la dorsale il sentiero sparisce nella piatta pietraia ma ormai si viaggia “a vista”. Un profondo taglio della cresta, lontano, più in basso verso destra dovrebbe essere all’incirca il punto dove ci sarà permesso scendere; quando ci trovavamo sulla Cima del Colle dell’Acquaviva avevo cercato dei riferimenti che sapevo mi sarebbero stati utili al ritorno. Il sentiero che dall’altro versante permetteva di scendere all’interno della valle, tagliava la cresta proprio di fronte ai grossi speroni poco sopra il Colle dell’Acquaviva, ora quelle riflessioni, quei punti di riferimento mi stavano tornavano utili. Giorgio, memore della carta della Majella e del sentiero che con ampi zig zag era marcato in discesa dal Macellaro cercava con lo sguardo una traccia che ce lo facesse riconoscere; continuando a traversare verso Ovest il fianco del Macellaro era sempre più vasto, quasi interminabile, lo sguardo poteva spaziare fino al limite della cresta, o almeno così ci sembrava, ma del sentiero della carta non c’è traccia. Ci viene il dubbio che sia una “bufala” uno dei tanti errori di cui le carte della Majella, è arcisaputo, sono piene. Non rimaneva che seguire l’istinto, cercare di andare il più possibile verso Est ed imboccare il vallone che si dirigeva esattamente verso quel profondo taglio che tanto mi sembrava familiare. Senza sentiero ma agevolmente, senza infilarci in nessun fosso profondo arriviamo alla fine nei pressi del famoso taglio di cresta; via via che ci si avvicina il fosso si fa però profondo, ci teniamo alti sulla sua destra ma qualcosa che non quadra c’era. Non capivamo cosa. Di fatto ci stavamo abbassando di quota però. La traccia del GPS di Augusto ed i dubbi di Giorgio ci inducono a non scendere ancora molto, forse era meglio raggiungere il bordo della cresta per rendersi conto della posizione esatta dove eravamo finiti. Allora risaliamo con non poco dolore un centinaio di metri, scendiamo dentro il fosso ora meno pronunciato e risaliamo con una lunga diagonale il versante opposto; non più di trenta minuti fino ad arrivare in cresta, affacciarci e scoprire, a parte il bellissimo colpo d’occhio della parte bassa della Valle di Taranta, che prima eravamo nella giusta direzione. Il sentiero che permetteva di entrare in valle agevolmente era ancora più a Sud, qualche centinaio di metri più in basso, in un altro profondo intaglio della cresta non visibile dal sentiero dove eravamo. Non rimaneva che ritornare sui nostri passi, riprendere una lunga diagonale sui pratoni che scendevano dentro il fosso da poco superato, risalire un faticoso ghiaione sul lato opposto per ritrovarci esattamente dove eravamo circa quaranta minuti prima. Poteva andare peggio, ci siamo fatti coraggio. A dirla tutta, guardando le foto i giorni successivi, guardando sulla cresta opposta dai pressi della Cima del Colle dell’Acquaviva, se avessimo avuto più coraggio e se fossimo stati più temerari, forse affacciandosi alla fine di quel fosso profondo avremmo potuto trovare un lungo ghiaione che ci avrebbe permesso una discesa fuori programma. Chissà? Comunque ormai ci potevamo considerare arrivati, ci aspettava ancora una mezz’oretta sui pendii erbosi che scendono a valle ora su un sentiero comodo e ben tracciato prima di arrivare all’attacco del sentiero che scende dentro la valle (a proposito, la parte alta di questo sentiero davvero non c’era traccia , ma quello riportato sulla carta con presupposti è stato tracciato?). Dal taglio in cresta, poco sotto, è ben visibile il rifugio di Macchia di Taranta, a ben giudicare un po’ basso per le escursioni in alta Majella, anche se gode di una posizione panoramicissima sul lato Sud della Majella stessa. Prendiamo a scendere il lungo traverso che entra agevolmente nella valle che è davvero molto panoramico; di fronte, in alto le rosse e ruvide pareti della Cima del Colle di Acquaviva e sotto si apre tutta la Valle di Taranta, dove spicca l’imbocco della Grotta del Cavallone e le sue audaci scalinate di accesso. E’ quasi fatta, non rimane che percorrere gli scomodi ghiaioni a valle, superare qualche piccolo tratto boscoso e trecento metri ancora di dislivello che ci dividono dall’arrivo della bidonvia. Le ginocchia dopo questa lunga discesa non ne vogliono più ma hanno modo di riposarsi immediatamente; la trattoria all’arrivo della bidonvia è aperta, ne approfittiamo per darci una rinfrescata e soprattutto per sistemarci, finalmente, con “le zampe sotto ad un tavolo. I venti minuti di discesa col bidone sono solo una lenta nostalgica cavalcata nei ricordi di questi due giorni che già iniziano ad accavallarsi. Le pareti della valle di Taranta si arrosano nelle calde ore pomeridiane, in alto le nuvole si addensano veloci a nasconderci quanto era nostro fino a pochi momenti prima, ma il vento, costante di questi giorni, le scuote e tutto si riapre, sorrido mentre le paragono alle quinte di un teatro; che la Majella giochi con noi, da vera protagonista e primadonna, per strapparci gli ultimi applausi di questo week end? Ne ha tutti i diritti, la Majella ormai ci sarà dentro indelebilmente e per sempre. Note tecniche di questa seconda giornata : 2300 mt di dislivello in discesa, 900 in salita per un totale di 21,5 km percorsi in 9 ore circa .